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    Jacques Villeneuve sulla mitica T3

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    Il passato, come per magia, si è fuso con il presente, regalandoci un evento carico di suggestioni. È successo ieri mattina quando le lancette del Big Ben segnavano le dieci e mezzo. In quel momento ad una sessantina di miglia a sud dal cuore della city londinese, sul circuito di Goodwood, Jacques Villeneuve si calava nell’abitacolo di una monoposto rossa che aveva conosciuto da vicino quando era bambino.

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    E a bordo di una maxi-roulotte, insieme a mamma Joanna e alla sorellina Melanie, si spostava da una parte all’altra dell’Europa per seguire papà Gilles negli autodromi del Mondiale F.1.

    L’occasione è il Festival della Velocità: una grande kermesse espositiva arrichita da una gara la cosidetta Goodwood Hill, che si disputa su un percorso in salita, piuttosto breve 1,16 miglia, circa due chilometri. Il tutto all’interno della grande tenuta di proprietà del conte di March, nipote dell’ultimo duca di Richmond , pilota anni Trenta, che nel parco della propria dimora di campagna, situata poco distante dallaManica, nella contea del West Sussex, nel 1948 trasformò una vecchia pista per cavalli, in circuito.

    Prestigioso come sempre, anche in questa edizione che si conclude nel pomeriggio, l’elenco dei piloti presenti: tra gli altri John Surtees, Markku Alen, Emerson Fittipaldi, Jacky Ickx e Damon Hill, quest’ultimo il primo compagno di Jacques in F.1 quando il canadese, lasciando il mondo delle corse americane, approdò alla Williams nel 1996: Damon oggi guiderà per ochi istanti la BRM con cui papà Graham vinse il Mondiale 1962. Ma il colpo più sensazionale è stato quello di ottenere il sì di Jacques Villeneuve a salire sulla 312 T3 che il batterista dei Pink Floyd, Nick Mason, possiede e che ha portato a Goodwood ad una ben precisa condizione: che a guidarla fosse proprio lui, il figlio di Gilles. E l’iridato ’97, uscito pochi mesi fa dal ristretto club dei protagonisti dei GP (ma intenzionato a rientrarvi l’anno prossimo) ha fatto di più, indossando di nuovo l’inconfondibile casco rossoblu del padre che aveva già impiegato quando, a soli 17 anni aveva iniziato (senza troppo successo), a gareggiare in Italia.

    Quella T3, che Jacques ha visto la prima volta 26 anni fa, è stata la Ferrari della consacrazione per papà Gilles, dopo il disastroso debutto in rosso a fine ’77 (alla seconda gara in Giappone, tamponò la Tyrrell di Peterson e la sua rossa, dopo essere volata in aria, uccise due spettatori, ferendone altre dieci). Fu la macchina del primo, storico successo proprio nella gara di casa, su quel tracciato che oggi ne porta il nome: le cronache del tempo sottolineano che negli ultimi giri, sull’isola di Notre Dame a Montreal, comparve addirittura la neve, evento per niente sorprendente a quelle latitudini se si tiene conto che quel GP si corse l’8 ottobre 1978. Per Enzo Ferrari fu un successo dal sapore particolare: ingaggiando quello sconosciuto canadese, dopo il traumatico divorzio da Niki Lauda, voleva dimostrare che le sue vetture, per essere vincenti, non avevano bisogno di un campione affermato al volante.

    Quando ieri Jacques ha messo in moto il dodici cilindri boxer, per percorrere poco meno di tre chilometri, a qualcuno sarà pure venuto in mente che proprio in Gran Bretagna aveva esordito in F.1 papà Gilles (il 26 luglio 1977 al volante di una McLaren Ford: finì 11°) e il sibilo inconfondibile di quel motore avrà forse suscitato tra gli spettatori emozioni contrastanti. Chi ha avuto la fortuna di esaltarsi per le imprese di «Gil» sino a quell’ultimo tragico volo di 22 anni fa nelle prove ufficiali del GP del Belgio a Zolder (8 maggio 1982) avrà provato nostalgia; altri il rimpianto di non aver visto il figlio completare l’impresa, sfuggita al padre (la conquista del Mondiale piloti) al volante di una Ferrari (ipotesi che è sempre apparsa impraticabile vista la reciproca antipatia con Michael Schumacher); e molti la speranza che questa esibizione non costituisca una sorta di chiusura del cerchio, l’ultimo passo di un addio definitivo alla F.1 per mancanza di...offerte.

    Messo alla porta senza tanti complimenti da David Richards, alla vigilia del conclusivo GP del Giappone 2003, Jacques, in questo anno sabbatico, sta probabilmente pagando un modo di essere — dire sempre quello che pensa — che mal si concilia con il moderno sistema F.1. «Mi hanno lasciato solo», aveva amaramente constatato nel novembre scorso, incontrando per la prima volta i giornalisti dopo la «cacciata». Eppure la sua ombra si è subito allungata su questa stagione: da mesi il suo nome è associato al futuro della Williams, che a fine anno rinnoverà completamente il proprio parco-piloti.

    Frank Williams e Patrick Head non hanno mai mostrato eccessiva simpatia (soprattutto il secondo, che non gli ha certo perdonato certe libertà in tema tecnico e strategico) per Villeneuve ma, guardandosi intorno e constatando che in libertà ci sono pochi piloti allo stesso livello, non hanno potuto fare a meno di inserirlo nella lista dei candidati. E probabilmente nelle prossime settimane lo metteranno sotto esame per capire se il canadese non si sia arrugginito.

    Ma l’esibizione di ieri è stata comunque sorprendente per chi conosce quanto delicato e particolare sia il rapporto di Jacques con il mondo di Gilles. «Io non corro perché lo faceva mio padre — è il ritornello che Jacques ripete di solito a chi si avventura su questo terreno minato — ma perché mi procura piacere, mi diverte. Anche per questa ragione non c’è alcuna attrazione particolare per la Ferrari. Oltretutto io non potrei andare a guidare in quella scuderia, sapendo che tutto ruota intorno a Schumacher». Un giudizio quest’ultimo, parzialmente rivisto negli ultimi tempi quando Villeneuve arrivò quasi ad offrirsi alla rossa , sostenendo che gli sarebbe stato sufficiente, per dire sì, la garanzia di avere identico trattamento tecnico a quello di Schumi.

    E allora le parole spese da Villeneuve ieri dopo l’esibizione, ripetuta poi nel pomeriggio, assumono un valore speciale, segnando, secondo l’impressione di chi gli era di fronte, una curiosa inversione di tendenza: «È stato davvero qualcosa di speciale anche se breve. Non avrei mai pensato di poter fare qualcosa di simile. Sono cose che fai una sola volta nella vita e tale rimarrà. Questa esibizione è stato un modo per ringraziare e dire addio a mio papà». Riaccendendo per un giorno il mito della Ferrari con un Villeneuve al volante. Magia pura.

     

    [Fonte Gazzetta]

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