Un altro weekend nero per il simracing, nel quale la competizione e il divertimento sono stati sostituiti da sporchi trucchi e da un approccio in pista da video-game arcade di scarsa, scarsissima qualità. Da quando l’emergenza Coronavirus ha costretto tutti i piloti da corsa del mondo a stare fermi ai box, il mondo della guida simulata ha vissuto un periodo caratterizzato da tante gioie… ma anche da parecchi dolori, causati in special modo da coloro che, agli occhi di migliaia (o forse milioni) di simdrivers, sono presi come esempio.
Dalle parolacce in diretta di Kyle Larson che gli sono costate il posto nel team Chip Ganassi Racing della NASCAR al “rage-quitting” di Bubba Wallace su iRacing, preso forse in maniera troppo leggera perché, dopotutto, il simracing è un gioco e nulla di più. Ma anche la sfida tra Norris e Pagenaud, con il pilota della McLaren a ruote all’aria per un contatto all’ultimo giro nella IndyCar iRacing Challenge.
Questo, tuttavia, è niente di fronte a quanto successo nello scorso fine settimana: non stiamo parlando solamente della pessima figura fatta da Daniel Abt nell’ePrix virtuale di Berlino della Formula E, ma anche dell’inconsistente performance di cui si è reso protagonista il mondo della Formula 1, in un GP di Monaco che, probabilmente, sarebbe stato più avvincente e realistico se fosse stato corso con i vecchi simulatori del Circus iridato che si trovavano tanto tempo fa nelle sale giochi. Cos’è successo? Ve lo spieghiamo subito.
LA FORMULA 1 DIVENTA UN AUTO-SCONTRO
Come era accaduto nel primissimo appuntamento virtuale in Bahrain, le F1 Virtual Grand Prix Series non si sono smentite: grazie ai danni disattivati e a un modello di guida ulteriormente semplificato per via della presenza di traction control e ABS, il round di Montecarlo della serie virtuale ufficiale del Grande Circo della Velocità si è dimostrato… un vero e proprio circo, dove praticamente tutto era permesso.
Attacchi suicidi all’esterno che hanno creato più confusione che altro, “divebomb” alla Nouvelle Chicane calibrati “a caso”, giusto per provare a passare il proprio avversario… ma con il risultato di coinvolgere in un autoscontro alla “Destruction Derby” tutti gli altri piloti in coda. Ma anche i continui contatti con le barriere di protezione, che nella realtà avrebbe distrutto in men che non si dica una monoposto… mentre nel GP virtuale sono stati sfruttati come trampolino di lancio per bloccare il rivale appena sorpassato, per poi proseguire indenni la propria corsa verso la bandiera a scacchi, quasi fosse un “pin-ball” da sala giochi.
Chiunque abbia mai affrontato nella propria vita un Gran Premio (virtuale, intendiamoci) sa benissimo quanto conta la strategia di gara e la tattica durante la corsa per riuscire a racimolare punti importanti nell’ottica generale di un Campionato. Al contrario, lo spettacolo offerto dalle F1 Virtual Grand Prix Series è stato all’insegna del tentare qualsiasi cosa pur di rimanere in pista, anche speronando i propri avversari. Perchè, alla fine, F1 2019 non fa altro che sanzionare con una semplice penalità sul tempo finale, che ormai “se la beccano tutti” e quindi non ha più alcun valore.
E DIRE CHE SONO PILOTI PROFESSIONISTI…
Tutto questo, ovviamente, non sarebbe stato per nulla strano se i piloti che hanno corso il GP di Monaco dello scorso weekend fossero stati dei “comuni mortali” intenzionati a trascorrere una domenica sera in allegria e spensieratezza con il videogioco ufficiale della Codemasters. Al loro posto, invece, si sono schierati in griglia i veri piloti di Formula 1, etichettati come “professionisti” perché il loro lavoro è quello di fare il pilota da corsa.
Forse l’unico professionista a Montecarlo è stato George Russell, perché partito dalla seconda casella in griglia e subito capace di imporsi al comando fin dalla prima curva. Una tattica che gli ha poi permesso di fuggire e di amministrare il proprio vantaggio fino alla bandiera a scacchi. Non c’è che dire, un’ottima strategia, peccato che tutti gli spettatori volevano vedere della bagarre in pista, mentre lo spettacolo offerto, ad essere onesti, non è stato granchè.
Da piloti professionisti quali sono, il minimo che ci saremmo aspettati sarebbe stato una condotta di gara rispettosa dell’avversario e delle manovre sì al limite ma sempre secondo le regole consentite. Insomma, un comportamento da veri piloti e non da “ragazzini” che vogliono divertirsi facendo a gara di chi affonda di più la staccata contro il proprio avversario. In questo non si è salvato nessuno: Lando Norris, Charles Leclerc, Alexander Albon… anche Esteban Ocon, alla sua prima apparizione con la Mercedes e subito pronto a tentare attacchi suicidi (e inutili) che hanno creato più caos che altro.
QUAL È IL VERO PROBLEMA?
L’unica scusante che possiamo portare in questo contesto è data dal fatto che il circuito di Montecarlo, storicamente, è uno dei più difficili di tutto il mondiale. Un tracciato che teoricamente non dà seconde chance, perché se si sbaglia un ingresso o un'uscita di curva si è contro le barriere di protezione. Facile, quindi, aspettarsi un auto-scontro se si utilizza un titolo come F1 2019, altamente scalabile e quindi permissivo in fatto di danni e fisica di gioco.
Sta il fatto, però, che se i piloti che sono scesi in pista lo scorso weekend sono dei professionisti, quindi pagati per correre: in questo senso, sarebbe stato opportuno che anche in un Gran Premio virtuale si fossero comportati come tali. Non si pretende che siano dei fenomeni capaci di vincere alla prima gara, perché in un mondo competitivo come il simracing devono fare i conti con tutti quei ragazzi che usano questi simulatori praticamente ogni giorno, ma vedere una condotta di gara da veri piloti di Formula 1… bè, questo è il minimo!
Il problema, tuttavia, sta alla fonte: la Formula 1 vuole che si utilizzi F1 2019 che, per carità, è un ottimo titolo se si sottolinea la sua capacità di replicare in tutto e per tutto le dinamiche di una o più stagioni della massima serie automobilistica. A livello simulativo, tuttavia, non è sicuramente il migliore in commercio. La Formula E, per esempio, usa il proprio DLC dedicato su rFactor 2, un prodotto sicuramente di un certo livello capace di replicare meglio la fisica di una monoposto e, più in generale, di una vettura da competizione.
Qualche altro spunto? Molti Campionati che sono nati in questo periodo di quarantena utilizzano iRacing, oppure Assetto Corsa Competizione, titoli che hanno fatto della simulazione il loro fulcro nevralgico pur essendo, allo stesso tempo, estremamente divertenti e appaganti. Perchè la Formula 1 deve proprio utilizzare F1 2019 se poi il risultato è questo? Perchè la massima serie del motorsport deve accontentarsi di un videogioco di massa per creare un’alternativa a questo periodo di stop forzato?
È normale che utilizzando un prodotto di questo tipo i piloti si comportino in un certo modo dietro al loro volante virtuale. “Tanto è un gioco”, questo è il pensiero comune, quindi tutto è permesso. Giusto? Per di più, creando una serie virtuale dove i danni sono disabilitati, le gare sono ridotte nella loro lunghezza e la fisica delle vetture è semplificata, l’autorizzazione a trattare un Gran Premio come una gara di Crash Team Racing o di Mario Kart è praticamente garantita (oltre che scontata).
C’È ANCORA SPERANZA PER IL SIMRACING?
Il tempo passa, ma le cose non cambiano. Da una parte troviamo simdrivers amatoriali che preparano Campionati con meticolosità, passione e dedizione come dovessero scendere in pista veramente… Dall’altra, invece, esistono piloti professionisti pagati profumatamente per fare un lavoro che, al termine di questa emergenza, forse non esisterà più o sarà possibile a una cerchia ancora più ristretta di pochi privilegiati... che trattano dei validi strumenti di allenamento mentale (se utilizzati nella maniera corretta) come un giochino. E in qualche caso anche peggio.
Sapete una cosa? Forse era meglio che il simracing rimanesse dov’era. Doveva continuare a seguire la propria strada, senza influenze esterne né false promesse di farlo diventare l’alternativa migliore per rimpiazzare le gare vere e proprie. Perchè, alla fine, questo non è accaduto. Certo, i casi che abbiamo trattato sono isolati e si contrappongono ad altre “virtual races” che, al contrario, hanno fatto emozionare e incantare anche chi, di guida simulata, non conosce proprio nulla (il duello al photofinish tra Alonso e Button nella 500 miglia virtuale di Indianapolis insegna).
A questo punto il destino del simracing è sul piatto di chi ne vorrà essere protagonista. Finchè portiamo in scena piloti che, a un primo impatto, capiscono di non essere così forti al punto da ingaggiare un professionista degli eSports per gareggiare al proprio posto, oppure piloti che pensano di avere in mano il joypad della PlayStation al posto di un volante top di gamma con tanto di postazione dedicata, allora il simracing non cambierà mai e verrà sempre visto come il mondo di “quelli che giocano a fare i piloti”.
Se, invece, mettiamo in mano il destino della guida simulata a persone appassionate, che amano questo mondo, e che in pista mostrano innanzitutto valori come il rispetto dell’avversario e delle regole per poi comportarsi come dei veri piloti da corsa… allora forse il simracing ha ancora una chance. Michael Schumacher diceva: “Ho sempre creduto che nella vita non ci si debba mai, mai arrendere e continuare a lottare anche quando c’è una piccola, piccolissima chance”. Perchè il simracing sarà anche un gioco... ma c'è gioco e gioco! Noi ci crediamo ancora in questo ideale. E voi?